Ahhh la società della performance! Che bella questa fast life, working hard, no pain no gain, oh my god sono le 22 e ho appena chiuso il pc io si che lavoro e tu invece stai poltrendo sul divano ma sei uno scansafaticheeee ma non ti fai schifo? Eh?
EH???
Scusate… mi sono appena reso conto che la vita delle persone non dipende dal mio lavoro e non sto salvando bambini… ora mi ricompongo.
Ok partiamo da qui: cosa succede se sei intelligente, competente, capace, creativo, e perfettamente in grado di lavorare, ma semplicemente…non ti interessa quello che stai facendo?
Hai una risposta? No? E beh neanche io.
Ma devo dire che ogni tot mi succede. Magari chissà anche con questo che sto scrivendo: prima o poi mi romperò le scatole e sarà l’ennesimo buco nell’acqua di qualcosa che mi divertiva, e ora non mi diverte più fare.
L’altro giorno, pensavo, un mio amico mi ha fatto notare una cosa.
Mi ha detto: “cerchiamo sempre di trovare un lavoro che ci piace, però non è detto che se facciamo un lavoro che ci piace poi riusciamo a farlo bene”. Per esempio: a me piace suonare la chitarra, ma non sono mica Jimmy Page. Mi piace cucinare, ma mica sono Bottura. E mi piace addirittura andare in skate e credetemi, le sbucciature sulle mie ginocchia e mani sicuramente non urlano “sei Tony Hawk”. O perlomeno non lo urlavano, quando ero giovane…ora se vado sullo skate con le due ernie che ho mi ritrovo direttamente al Fatebenefratelli (oltre al fatto che da buon Millennial ho citato un idolo degli anni ‘90 ma vabbè…questo è il male minore...).
Insomma, quando si parla di lavoro, piaccia o no, è importante che riusciamo a dare il meglio. E se non ci riusciamo, magari è perché non siamo davvero portati per quella cosa, magari pensavamo che ci interessasse abbastanza, e invece proprio non ci arriviamo a farlo bene. Tipo me: che non riesco a ricordarmi nulla neanche se me lo tatuo su una mano, ti immagini a fare l’avvocato?
- “Vostro onore, è evidente che quello che voi chiamate OMICIDA non può neanche definirsi tale secondo l’articolo 527 del Codice Penale…”
- “Ma avvocato, quello è l’articolo sugli atti osceni in luogo pubblico, non sull’omicidio…”.
E pensate se (storia vera) mi fossi incaponito per diventare medico… Insomma, riuscite ad immaginare la tragedia? Se mi fossi sforzato a diventare un avvocato o un medico, quanti danni avrei fatto?
E quindi passi ore e ore a cercare qualcosa che faccia per te, qualcosa in cui potresti riuscire, che si allinei con i tuoi valori, con le tue competenze e tutto il resto.
A volte mi sento come quella metafora…com’era? Quella del pesce rosso che prova ad arrampicarsi, e prova ad eccellere tutta la vita nell’arrampicarsi, perché non sa che è nato per nuotare e basterebbe buttarsi in acqua per trovare il suo scopo nella vita.
Ecco, io spesso (o troppo spesso) mi sento un pesce. Che prova ad arrampicarsi, mentre sogna il mare. O perlomeno prova a sognare cose diverse, cercando di capire qual è il suo mare.
E sono sicuro di non essere solo, là fuori.
Ho speso così tanto tempo a maledirmi e a cercare di capire come funzionassi, che oggi posso dire senza indugio alcuno che nel mio bugiardino, quello che esce in dotazione quando apri la scatola, deve esserci scritto qualcosa del genere: “attenzione: tenere sempre motivato, altrimenti inizia a fare le cose ad cazzum”.
Perché sì, succede anche quello. Dopo mille progetti, anche i più fighi, quelli che mi hanno all’inizio creato quel momento di excitement generale e di boom motivazionale…anche quelli, puntualmente, ripeto p-u-n-t-u-a-l-m-e-n-t-e, dopo un certo periodo, “me so scesi” come si dice a Roma, e ho perso, semplicemente e per sempre, l’interesse.
Ed ecco quindi che con la mia motivazione, matrigna vecchia e austera e dal bisogno insaziabile di me che la tenga in piedi, anche il tempo dedicato al progetto o a quel lavoro o a quella task è, pian piano e di nuovo, diminuita, ed ho presto iniziato a cercare quell’interesse altrove.
Non sapete (o forse sì se avete tratti simili ai miei) quanto fatica io ci metta ogni volta a tenermi motivato, a trovare l’excitement per trascinarmi ogni volta un metro più avanti per quel “progetto cruciale dal grande impatto” che mi hanno assegnato, soprattutto quando poi realizzo che tutto questo impatto, di fatto, quel progetto non ce l’ha.
E parlando di cose scomode, lasciatemelo anche dire, questo alle aziende non piace. Perché le aziende preferiscono chi, secondo loro, è costante, coerente e lineare.
E non sono pronte, e chissà se lo saranno mai, ad accogliere animali diversi dalle scimmie che, senza troppe domande, si arrampicano a prendere la banana che gli hanno detto di prendere.
Ma forse il problema sta proprio qui.
Accettare di non essere una scimmia, fregarsene degli alberi, anche quelli dai frutti più succosi e, semplicemente, fare quel salto che prima o poi e per sempre, ci porterà al nostro mare.